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Corsica in Vespa e tenda - diario di bordo


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Giorno 0

Mentirei a me stesso se dicessi di non essere per nulla in ansia. Oggi mi sono dedicato alla preparazione minuziosa del mezzo e dei bagagli, ma potrei essermi dimenticato qualcosa ovviamente. Spero di no. Riuscirò a dormire?

10% ansia, 90% euforia.

Non voglio concentrarmi sulla meta, devo restare focalizzato sulla curva successiva, metro dopo metro. Un passo alla volta. Calma. Respira.

Comunque vada sarà grandioso.

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Bravo, bel racconto , ti leggo molto volentieri . Col senno di poi avrei potuto scrivermi qualcosa durante i miei viaggetti , ma non l’ho mai fatto , va beh , amen. Per il discorso mal di stomaco / agitazione penso sia tutto abbastanza normale , io penso di essere come te, ho sempre sentito

l’urgenza di arrivare a una determinata meta , forse godendomi un po’ meno “il tramite” , soprattutto se obbligato ad orari di traghetti 

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Giorno 4

La notte è stata calda e umida, non sono molto riposato. Sono le 6.30 e per fortuna il sole aspetta ancora un po’ prima di illuminarci. Devo richiudere tutto e caricare, operazioni che eseguirò con molta calma, viste le mie condizioni. Guardo perplesso lo zaino del kit campeggio aperto dentro alla tenda, che è una baraonda, e riorganizzo la logistica al suo interno, ricavando spazio extra. Mi sento una brava scimmia e mi merito di fare colazione con le banane acquistate ieri. Studio il percorso, che prevede un lungo tratto costiero, così metto in cima alla valigia asciugamano e infradito, indosso il costume e metto la crema solare, abbondando sopra le ginocchia, dove il sole ha già colpito duramente nei giorni scorsi. Mi viene un’idea per proteggerle, quindi preparo in una tasca della borsetta SIP il coltellino svizzero, sempre in viaggio con me, e due mollette per i panni. Il lenzuolo che utilizzo per coprire la vespa di notte è già tra portapacchi e borsone anteriore. Finisco di fissare i miei averi alla vespa, che nel frattempo si scavalletta e per poco non cade rovinosamente a terra. Mi dirigo alla reception che scopro ancora chiusa. Mi siedo pazientemente studiando nuovamente il percorso, fino alle 9.00, quando posso pagare e andarmene.

Rifornimento, curve, roccia, panorami. Sono estasiato, di nuovo. Il percorso si addentra in direzione Ajaccio, sono esposto al sole, inizia a fare un caldo tremendo mentre le curve diventano più dolci in mezzo a un paesaggio marziano. Raggiungo una 124 spider senza capote battente targa italiana, attendo un rettilineo per superarla, ma con rispetto. Innesto la quarta a bassi regimi, per non disturbare. I due anziani occupanti si stanno godendo il loro lento andare con i capelli bianchi al vento. Ci sorridiamo vicendevolmente. Riecco la costa, plage de Sagone. Trovo il perfetto connubio tra parcheggio ombreggiato in vista, spiaggia semideserta, bar. Solitamente odio il mare ma non posso restare indifferente. Non è solo funzionale al rinfrescarsi, ma è anche uno spettacolo da ammirare. Mi immergo senza bagnarmi i capelli visto che vorrei ripartire tra poco. Mi delizio con un gelato e un caffè. La barista, che è un angelo dal delicato sorriso e occhi azzurri, non mi fa lo scontrino. La perdono.

Senza troppa voglia mi rimetto in marcia alla volta di Ajaccio, la mia meta della giornata. Ormai abituato alla placida città di Porto, questo luogo mi disagia e spaventa. Qui è nato Napoleone Bonaparte, e fossi in lui, anche io sarei scappato in America. Traffico infernale, asfalto e palazzi bollenti, vengo rivoltato tra un semaforo e l’altro come un pezzo di carne in padella. I sensi unici mi disorientano. Le gambe scottano. Un’automobilista suona il clacson, sono in contromano. Trovo fortunosamente un parcheggio moto, all’ombra di un albero, mi siedo su una panchina. Respiro. Organizzo. Metto in fila i pensieri.

-Cos’hai? Mal di testa-

Bere acqua e sali minerali

-Poi? Fame-

Cercare supermercato

-Se non lo trovo?-

Bar a sinistra o barrette energetiche

-Le gambe scottano!-

Costruire riparo

-Ho esaurito l’acqua!-

Bar a sinistra o fontanella davanti

-Voglio andarmene di qui!-

Dopo.

-Ok-

Mi attivo. Il minuscolo Spar dietro l’angolo è post apocalittico. Gli scaffali sono quasi completamente deserti e non c’è l’ombra né di un cassiere, né di un cliente. Mi affretto a prendere l’ultima pasta fredda confezionata rimasta e 3 pesche prima che arrivino gli zombie. Step 1 completato. Mi avvicino al PX, noto una macchia nera sul retro del giubbotto steso sopra la sella, faccio per toglierla con il dito e scopro che è ancora calda, merda calda. Rido senza motivo. Problema. Fontanella davanti e salviette 1000 usi +1. Soluzione.

Fumo una sigaretta in piedi, sto escogitando qualcosa. Estraggo le mie armi: lenzuolo, coltellino svizzero e mollette per panni. Prendo un paio di misure e mi invento una specie di tendina copri gambe che posso arrotolare o srotolare a mio piacimento, fissata da una corda elastica extra che avevo con me, perché non si sa mai. Una turista di colore si gode la scena di me che apro il gigantesco lenzuolo, prendo misure a palmi, taglio, strappo, mordo. A lavoro compiuto effettuo un collaudo. Mi siedo sopra la sella, aziono il marchingegno, lo riposiziono. Funziona. La tizia sgrana gli occhi. Le sorrido. Step 2 completato. Mi sono guadagnato un caffè. Un uccellino ruba agilmente una mollica di pane a un grosso piccione. Davide contro Golia, PX contro GS.

Tento di mettermi in regola con il codice della strada, qui i guanti da moto sono obbligatori ma l’ho scoperto solo sul traghetto. Ci sono 3 negozi nelle immediate vicinanze, cerco il modello “the cheepest you have” ma costano tutti oltre i 40€. Procedo quindi nell’illegalità.

Punto il navigatore verso l’interno, c’è un lago ed è lì che andrò a cercare frescura.

La strada si snoda di nuovo tra le rocce, anzi no, giro un angolo e sono immerso in una foresta. Stupefacente. Il mio andare è rallentato da un manto stradale che dire disastrato è poco. Fatico a superare i 30 km orari. Raggiungo il lago di Tolla che potrebbe essere una meraviglia sennonché ben 3 chioschi si affacciano su di esso e un molo porta i turisti a bordo di colorate canoe di plastica. La natura al servizio dell’economia. Mi infastidisco. Riparto. Sono le 17.30 e non ho ancora dove dormire.

L’unico campeggio in zona dista mezz’ora. Corro. C’è posto. Sono fortunato. Il proprietario mi indica la piazzola, perfetta, ma devo cenare e qui non c’è l’ombra di un bar. Mi dice di tornare nel paese precedente, Bastelica, ma di sbrigarmi, potrei trovare chiuso visto l’orario. Mi affretto a scaricare le zavorre dalla groppa del PX. Noto all’esterno di una curva degli adorabili e deliziosi maialini che brucano saporiti e teneri l’erba mista della banchina. Ho fame. In questo roccioso borgo trovo una piccola bottega di prodotti tipici, che vende anche birre in bottiglia. Ne faccio una collezione. 2 etti di Mortadella, una baguette e una piccola forma di formaggio appianano i miei istinti.

Poggio il mio prezioso bottino sulla pedana del PX, e rientro alla base con estrema calma. Stappo una IPA che mi fa venire gli occhi lucidi, è commovente, mi sento bene. Sparisce il mal di testa. Il PX mi guarda le spalle dall’alto, mi aiuta con la cena e con l’accappatoio bagnato dalla doccia appena fatta. Mi fa sentire al sicuro. Calcolo il movimento del sole, l’indomani mattina saremo ancora in ombra. Un ruscello mi tiene compagnia nel buio pesto di questa notte. Stelle cadenti appongono le loro firme nel cielo.

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Sono le 03:18, sei appena tornato a casa dal bar, Diego ha pubblicato 20 minuti fa e capisci che anche lui sta facendo le ore piccole. Leggi il giorno 4 del suo diario di bordo, ti immergi nella sua vacanza e capisci che forse anche tu dovresti fare un viaggio simile……

È ora di andare a dormire, buonanotte Dié 🛵

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18 ore fa, Turbo99 ha scritto:

Sono le 03:18, sei appena tornato a casa dal bar, Diego ha pubblicato 20 minuti fa e capisci che anche lui sta facendo le ore piccole. Leggi il giorno 4 del suo diario di bordo, ti immergi nella sua vacanza e capisci che forse anche tu dovresti fare un viaggio simile……

È ora di andare a dormire, buonanotte Dié 🛵

 

Data la tua età e l'assenza di grosse costrizioni, sarebbe una cosa molto furba provare.

Cerca su Ig _LaLunga (la ragazza che sta andando in Irlanda in Vespa a cui abbiamo preparato il mezzo) e vedi anche lei...

Complimenti Diego per le pagine di racconti, è molto bello leggerti.

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Giorno 5

Apro gli occhi che sono le 9.00. Ho dormito divinamente. Sono stato costretto ad usare il sacco a pelo che è cosa buona e giusta. Non ho fretta. Studio il percorso armeggiando tra libro e cellulare. Vedo del verde sulla mappa, sarà boschivo e ombreggiato, andrà tutto bene. Mi sorprende che ormai riesco a districarmi con le app di navigazione, in base alla loro utilità, cosa che mi è sempre stata ostica. Do un paio di giri di ghiera all’ ammortizzatore anteriore che ieri, nel tratto turbolento, a volte andava a pacco, sentivo il tampone di finecorsa lamentarsi. Forte dell’ombra che mi aspetta non indosso il giubbotto, un altro elastico di scorta mi aiuta a fissarlo nel posto passeggero della sella yankee.

Pago solo 10€ per una notte in paradiso, ringrazio in tutte le lingue che conosco e mi avvio alla volta di Propriano. Nel frattempo si sono fatte le 12.00, le operazioni mattutine richiedono tempo. Ho un passo da nonnetto, e ne godo, rilassandomi all’ombra degli alberi che sorvegliano il mio andare. Non uso il navigatore, mi sento sicuro. Un incrocio mi fa dubitare, consulto Waze, procedo. Ho poca benzina nel serbatoio e sono diretto a Santa Maria Sichè, che suppongo sia un borgo di toscani. Anzi, era, visto che è completamente deserto, e il distributore spento. Santa Maria, penso. Sichè ne trovo uno poco distante. Pago il conto del rifornimento a una bionda, all’interno della bottega, che nel frattempo monta un mobile padroneggiando abilmente un avvitatore elettrico. Tiene una vite autofilettante tra le labbra, me ne innamoro perdutamente.

Punto diretto al camping, oggi non rimango fregato. Sono a sole. Fa un caldo che la metà basta. Mi viene in aiuto il mantello da eroe del mio super PX, mi copre le gambe. Indosso il giubbotto, proteggo le braccia. In un tratto a percorrenza veloce sopraggiunge un Dobló. Mi faccio superare e mi ci incollo sfruttandone la scia, modalità risparmio. Ha il portellone nero e mi ci rispecchio, gioco un po’ a fare finta di essere ripreso da una videocamera, guardandomi in terza persona. Arriviamo in una zona civilizzata, e sono illegalmente senza guanti. Mi nascondo dietro a un tir, cercando di passare inosservato.

Ore 15.00 sono al camping La Riviere. Un cavallo e un ciuco, entrambi dal manto bianco, mi accolgono. Ha tutta l’aria di una radura selvaggia e rovente. Il nome prende spunto da un fiume, che attraverso su di un ponte completamente privo di protezioni. Fa un caldo spaventoso. Mi precipito al bar, o reception, o ristorante, o casotto, non so cosa sia. Un’accozzaglia di legno mi disorienta mentre cerco spiegazioni in me. Monsieur! Un tizio mi chiama. Intuisco che è il proprietario e per mia fortuna parla bene italiano. Faccio immediatamente richiesta di una birra fresca. Sua figlia mi accompagna al bancone e me la serve con la sigaretta accesa in bocca. Mi sento accettato. Chiedo a un biondo, che sembra essere l’unico in grado di capire inglese, se posso pagare contanti e mi frega 50 centesimi uso mancia. Sorrido come se fosse mia intenzione. Mi guardo intorno cercando punti di riferimento ma l’arredamento è casuale e per nulla perpendicolare, disorienta il mio essere ossessivo/compulsivo. Cerco di non farci caso e mi godo la piacevole brezza che sale lungo il corso del fiume. A fianco del bancone del bar, dal tetto coperto di cortecce, scende dell’acqua e ne ignoro il motivo. Fumo una sigaretta facendo il punto della situazione. Noto di fronte a me uno scivolo che lancia divertiti bambini nel fiume, direttamente dall’interno del locale. Sgrano gli occhi. Musiche da far west francese sono proiettate dagli altoparlanti.

È tempo di attivarsi. Chiedo al barista biondo se posso accamparmi per la notte. Mi risponde “dove vuoi!”. Lo prendo alla lettera. Monto in sella al PX ed esploro la zona. Scelgo un gruppo di alberi che dista circa 500 metri dal bar, in mezzo a una radura. Penso di essere furbo cercando ombra per il successivo mattino. Un gregge di capre mi viene a far visita, mi avvicino ma sono spaventate da me. Non riesco a farmi conoscere. La più grossa sfoggia delle lunghe corna ed è lei che comanda, mi avvicino. Resto a 3 metri immobile, ci guardiamo, nessuno prende iniziativa, mi siedo a terra, e lei uguale subito dopo di me. Sono incredulo. Soddisfatto decido che è giunto il momento dí rinfrescarmi, ma prima voglio godere di questa anarchia. Indosso il cappello da Indiana Jones, Inforco il PX senza casco e vado all’avanscoperta. Vorrei dare gas ma il mio rispetto per il luogo prevale. Mi butto nel fiume, una cascatella mi rigenera.

Sono le 18.30 e corro al supermercato più vicino per fare spesa. Una cartucciera di birra IPA e un’insalatina mi eviteranno di sperperare soldi al ristorante del campeggio.

È notte. Sento dei passi tra gli alberi. Sono i miei amici cavallo e ciuco, sempre in coppia come carabinieri. Gli vado incontro. Il cavallo mi annusa il palmo della mano, gli accarezzo guance e collo. Mi sento animale. Si dirigono verso un accampamento poco distante dove dei personaggi musulmani, lei ha il velo, cercano di campeggiare goffamente tra la loro Touran e una brutta tenda, sotto un albero che domani sarà a sole. Pivelli. Sono spaventati, vado loro incontro. Capiscono il mio inglese e spiego loro che non devono aver paura, questi amici pelosi sono solo curiosi. Il cavallo butta un occhio dentro la tenda. Una bimba grida. Spiego loro che non devono aver paura, unica accortezza mai stare dietro, lo so perché ho fatto equitazione da piccolo. Richiamo le bestie lontano, i miei nuovi amici sono in salvo. Sento altri passi, molti passi. Accendo la torcia del telefono. Mamma cinghiala e figli si dirigono verso la mia tenda. Resto immobile. Il cavallo bianco si muove verso loro, allontanandoli. Mi ha protetto. Quasi mi commuovo.

Il mio protettore e il suo compare si allontanano verso altre tende e altre amicizie, ora sono solo. Sento altri passi tra le foglie secche. Devo agire. La batteria del telefono è quasi esaurita. Tra poco non avrò luce. Panico. Respira. Ragiona. Organizza. Ho una torcia, presa in prestito dall’officina dove lavoro, nel bauletto, e il PX è al mio fianco. Cerco ma non la trovo. I passi si avvicinano. Illumino la vespa, rovisto, passi, illumino il bosco, rovisto, passi. Eccola. Luce, li vedo, sono a 10 metri da me. Piano B. Scavalletto silenziosamente il PX e lo porto in mezzo alla radura di fronte a me, a spinta. Ora, se volessi, potrei sgasare via. Mi sento leggermente sollevato. Raccolgo lentamente qualche altro oggetto che può servire durante la notte, tra cui una birra, e sgommo al bar. Sono in salvo ma mi chiedo dove dormirò. Mi siedo fuori del locale, su un masso. Un gatto quasi mi fa prendere un colpo saltandomi sopra le gambe. Vogliamo entrambi una carezza. Due francesi parcheggiano di fronte a me, scendono e mi blaterano qualcosa. Rispondo “bonsoir” con l’aria di uno che la sa lunga. Entro e un tizio mi offre una birra. Sua moglie mi invita a ballare. Fingo tranquillità. Chiedo al biondo barista, che parla inglese, se posso dormire nonostante i cinghiali. Mi dice di si e decido di dargli ragione. Un signore evidentemente ubriaco dai capelli bianchi mi ruba gli occhiali da sole, ballando. Sarà una lunga notte.

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Giorno 6 

Mi sveglio con dei passi pesanti fuori della mia tenda, cavallo e ciuco sono venuti a darmi il buongiorno. Ho mal di testa, ieri sera c’è stata una bizzarra festa al bar, dove un mezzo francese e mezzo napoletano mi ha offerto altre 3 birre, che unite alle mie 4 fanno una somma considerevole. Impiego una vita a sistemare tutto, i postumi non aiutano. Faccio colazione con dei biscotti furbamente comprati il giorno prima, e noto che a cavallo piacciono molto. È rilassato e si distende a terra a fianco della mia tenda. È un amico. Ciuco invece indugia, e si nasconde con vergogna dietro un albero che a malapena gli copre il naso. Mi fanno ridere. Li adoro.

Pago 17€ compreso caffè e filo via. La posizione del distributore mi costringe a passare in zona costiera. Una grossa nuvola mi soccorre e decido di continuare nonostante abbia una bella fame. Ahimè in breve tempo la nuvola si apre a metà e sono di nuovo a sole privo di acqua da bere. Sono stato fregato. Mezz’ora dopo incrocio uno Spar, ma l’unico posto all’ombra è in un vicolo sporco e malconcio. Me lo faccio andare bene. Rullo una sigaretta e mi accorgo che non ho da accendere, quell’ubriacone me l’ha rubato la sera precedente. Per fortuna ho sempre con me, nel bauletto, un kit tabacco di emergenza. Poco dopo la vista del mare dall’alto, dominato da una enorme scogliera a picco, mi rinfresca gli occhi. Sono a Bonifacio.

C’è caos e traffico ma il colpo d’occhio mi toglie il fiato. Da uno yacht, ormeggiato praticamente sulla strada principale, due dozzine di persone completamente vestite di bianco scendono e attraversano di fronte a me. Metto loro fretta sgasando un po’. Vespeggio allegramente nel borgo e ad ogni angolo rimango incantato. La città vecchia è appollaiata su un gigantesco masso e da l’idea di cadere in mare da un momento all’altro. Una stradina mi fa scendere fino al porto principale, un veliero si staglia maestoso. Lussuosissimi yacht scintillano sul pelo dell’acqua. Non li invidio, perché a loro manca una Vespa. Mi sento ricco.

Punto in direzione del camping. Ne scelgo uno più o meno in mezzo alla punta sud, nella speranza di non dover pagare con un rene. Da qui l’indomani avrò modo di scorrazzare esplorando la zona. Mi piazzo e faccio immediatamente la conoscenza di alcuni colleghi campeggiatori, sono veneti e ci entro subito in sintonia. Poco dopo eccomi di nuovo a Bonifacio, sta volta leggero, senza bagagli. Faccio due passi in zona e scopro una parte alta che ti fa vedere la città vecchia, il mare, il suo fondale, le rocce a picco. Sono senza parole. È maestoso. Mi sento piccolo. A uno Spar molti italiani notano il mio strano mezzo e mi fanno i complimenti. Il PX se li merita tutti. Ho scoperto che la borsetta SIP è anche vagamente termica a patto che la riempi di birre, per non sbagliare ne prendo 5. La serata si conclude con piacevolissime chiacchiere tra campeggiatori. Condividono la loro cena con me e io non ho niente in cambio, se non le mie storie. Rimaniamo svegli fino a mezzanotte interrogandoci su un milione di temi, Massimo è letteralmente me stesso veneto.

Non ci sono cinghiali in vista e, per una volta, mi concedo una notte senza bizzarre avventure. Mi sento turista.

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Giorno 7

Pausa. Oggi giornata relax. La prima missione è semplice: lavare i vestiti. Gli amici del Veneto, Massimo e Jessica, se ne vanno, me ne dispiaccio molto, sono persone meravigliose e non vedo l’ora di andarli a trovare. Il cielo è nuvoloso, consulto le previsioni e scopro che promettono pioggia. Molto male. È stata una notte afosa e ho dormito poco, proseguo lento nelle mie operazioni mattutine, tra cui una doccia. Ieri tra una chiacchiera e l’altra si era fatto notte così non ho potuto lavare i capelli visto che non dispongo di un phon. Ci metto mezz’ora solo per pettinarli.

Intanto rivaluto il percorso, le spiagge della zona est non mi risuonano molto, ormai ho capito che il mio posto è tra i monti e i boschi. Ne sento il bisogno. Persino la comodità del campeggio quasi mi disturba.

Si è fatta ora di pranzo così scendo a Bonifacio e mi procuro una baguette e dell’affettato. Mi gusto gli acquisti apparecchiando il portapacchi anteriore mentre arrivano 4 ragazzi trasandati a bordo di una Peugeot 205 bianca, polverosa e semidistrutta, con gli ammortizzatori a pacco e i cerchi arrugginiti. I sedili in velluto se li smonti potrebbero camminare da soli, sul cruscotto crescono muschi e licheni. Sul tetto 4 cassoni della seconda guerra mondiale, tenuti insieme a malapena da due fasce, immagino celino incredibili storie. Hanno vestiti scoloriti dal sole, scalzi, barbe e capelli incolti. Si accendono una canna e ci avrei scommesso. Moderni Robinson Crusoe strafatti.

Vedo che il clima regge, forse le previsioni si erano sbagliate, quindi inforco il Piixone e vado in avanscoperta del sud corso. Mi addentro verso qualche spiaggia e l’asfalto lascia spazio a un sentiero di terra rossa. Il cielo è bello grigio. Il percorso mi diverte più della vista del mare, quindi decido di continuare con il mio enduro. Do gas e sgommo, impenno sulle rocce. Mi concedo un burnout in cima a una collina, alzando un evidente polverone ma sono solo e non me ne curo. Ho del matto da sfogare. Trovo una vista niente male e il terreno è così inclinato che mi costringe ad appoggiare il PX da cross su un cespuglio, e anche così sta quasi dritto. Mi diverto a sentirlo a suo agio in questo contesto.

17.00. Seconda missione della giornata: visitare per bene Bonifacio. Gironzolo a piedi per le vie del centro storico, mi affaccio sul golfo, rimango estasiato. Il cielo però è bello nero. Da qui vedo la Sardegna e li sta piovendo. Fulmini e saette elettrizzano il mare e i turisti. Io invece faccio dietro front, ho i vestiti stesi in campeggio.

Non faccio in tempo. Il diluvio universale ci colpisce. Le ripide vie che conducono alla città vecchia diventano torrenti in un attimo. Cerco di mantenere la calma, estraggo il kit anti pioggia e lo indosso. Faccio finta di niente mentre passo tra le vie del centro, i turisti ammassati sotto le serrande dei locali mi guardano, qualcuno mi indica. Una macchina davanti a me procede di una lentezza che devo premere la frizione per non tamponarla. Mi fa incazzare. Mentre passo in zona porto mi fermo al supermercato, perché non so se più tardi posso avere modo di tornare e qui alle 19.00 si chiude bottega. Tanto ormai sono completamente fradicio, e i vestiti a stendere idem, immagino. Ormai affranto effettuo l’allunaggio nel parcheggio/lago. Si apre la porta scorrevole, casco in testa, vestiti anti pioggia extralarge, passo lento a ginocchia alte. I piedi nelle mie scarpettine estive sono completamente a mollo ed emetto un insieme di rumori, sfregamento nylon più splash dei passi. Mi sento Neil Armstrong sfigato. Un italiano mi vede e dice alla moglie che forse piove. Gli rispondo io con una bestemmia. Lui ride, io no.

Torno in campeggio sotto la pioggia battente, le gocce sulle mani sembrano aghi. A terra un palmo d’acqua. Le auto nell’altro senso di marcia mi fanno docce non gradite. Tenda fradicia, vestiti fradici, tutti, quelli che ho indosso e quelli stesi, asciugamano fradicio, accappatoio fradicio, casco fradicio. Mi guardo intorno inerme e non so da dove cominciare. E piove. Con un po’ di coraggio capisco che devo spogliarmi prima possibile. E piove. Apro la tenda, dell’acqua entra. E piove. Mi tolgo il casco, keeway, pantaloni. E piove. Prendo con me il necessario dalla Vespa, portafoglio zuppo d’acqua, tabacco zuppo d’acqua, li lancio dentro. E piove. Calma. Ragiona. Organizza. Mi spoglio completamente e metto tutto sopra la Vespa, tanto ormai è compromesso. Mi chiudo dentro la tenda, di fianco vedo il lenzuolo, è l’unica cosa asciutta che mi rimane, a parte una maglietta avanzata salva in valigia. Mi ci asciugo. Non è il massimo visto che ha preso molta polvere nei giorni scorsi, ma me lo faccio andare bene.

Smette di piovere. Apro la tenda. Fumo una sigaretta con le gambe incrociate e lo sguardo al suolo. Luca, dirimpettaio, se ne accorge e mi offre una birra. Quasi mi commuovo. Il cielo si apre, la tormenta è passata, è l’ora della conta dei danni. Come lumache tutti i campeggiatori lentamente escono dalle tende. C’è un po’ di baraonda e mi dicono che sta notte è di nuovo prevista pioggia. Devo inventarmi qualcosa. Nel frattempo strizzo tutti i vestiti che ho. E penso. Asciugo la sella della vespa, mi ci siedo al contrario. E penso. Do in prestito a dei vicini una corda per stendere i panni. E penso. Mi viene in mente che nello zaino del kit campeggio ho sempre un sottotenda, che se lo metto sopra è un sopratenda. E penso. Detto fatto. Taglio in 4 pezzi una lunga cordicella che ho, la lego agli angoli del telo, pianto 4 picchetti, giro la tenda a 180°, metto tutti i vestiti bagnati al centro del mio ex filo stendi panni, che ora funge da cresta della tettoia. Ci sono. Ora ho un riparo per me, i vestiti, e mezza vespa. Mi sento ristabilito.

Così decido che in qualche modo dovrei andare a vedere i fuochi d’artificio alla rocca di Bonifacio, è sempre ferragosto in fin dei conti. E me li merito pure. Ho a disposizione le infradito, il costume, una maglietta e il giubbotto da moto. Ma il casco è ancora bagnato al suo interno. Mi avvicino a un gruppo di ragazze appena arrivate, è più probabile che loro abbiano un phon. È così e mi dicono che lo sta usando una loro compare, Silvia, che è una che sta là. Con un po’ di vergogna mi avvicino e la chiamo per nome, con il casco in mano. Lei, in accappatoio, ha lunghissimi capelli neri e un gran bel paio di occhi azzurri. Le spiego la situazione e me lo concede volentieri. Non mi è indifferente e sono un po’ impacciato. Pensa che dal mio accento e aspetto sia un americano che cerca di parlare italiano. Le spiego che tra inglese, francese, e veneto, devo riassettarmi. Spero mi abbia creduto. Quando torno a consegnare loro il phon, Gianni, il loro cane, quasi mi morde. Non è mica scemo.

Sono le 22.50. Mancano 10 minuti ai fuochi d’artificio e io non me li voglio perdere. Pedalo forte il Piixone e sgommo via. In salita sento la carburazione smagrirsi pericolosamente, rallento, in pianura invece va bene. Vuol dire che nel serbatoio ho al massimo un dito orizzontale di benzina, che in salita non viene pescato. E questo non va bene. Nel tram tram mi sono dimenticato di fare rifornimento. Con la testa bassa e il minimo alto riesco a sopraggiungere in un’affollatissima Bonifacio, tempo di togliere il casco e parte lo spettacolo. La rocca è illuminata blu e viola e i fari delle barche decorano l’acqua. È un bello spettacolo. Per rilassarmi faccio qualche passo lungo la banchina del porto, ma con largo anticipo e in maniera inaspettata, ricomincia a piovere. Guardo il cielo, mi bagna la faccia, faccio un sospiro e chiedo perché. Non mi risponde. Nel fuggi fuggi generale, sono imbronciato e quello che cammina più lento di tutti. Ho i capelli bagnati, di nuovo. Mi sento sconfitto. E devo fare miscela. A 20 metri c’è il distributore, la gente ci si ripara sotto. La boccia d’olio mi scivola dalle mani bagnate e mi cade in terra, per fortuna chiusa. Un bambino mi guarda curioso. Lo fulmino con gli occhi. Si nasconde dietro la mamma. Mi sento cattivo, e non me ne frega un cazzo. Scivolo nervosamente nel traffico tra costose auto in coda incollate tra loro tanto sono strette le vie, e se le tocco, non me ne frega un cazzo. Di fronte alla colonna di auto mi piazzo a fianco di una signora su uno scooter, a dirigere il traffico la gendarmeria che mi guarda perché sono illegalmente senza guanti. Sgasso pure, e non me frega un cazzo.

Sono alla base finalmente in salvo sotto al mio nuovo rifugio. Posso ora avere la porta della tenda aperta, così a gambe incrociate mi fumo una sigaretta e stappo una birra che avevo di scorta, purtroppo ormai calda. Apro una scatola di biscotti al cioccolato che avevo arraffato di corsa allo Spar. Perché anche io, bestia che ha bisogno della bella, tempesta che ha bisogno del sereno, marinaio che ha bisogno del faro, a volte, ho bisogno di un abbraccio.

 

Sono le 3.00. E piove.

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Giorno 8

Ieri tra un pensiero e l’altro non ho preso sonno prima delle 5.00. Mi sveglio non troppo presto e c’è il sole. Mi rendo conto che ogni minuto di luce è prezioso per asciugare i miei averi prima della partenza. Il sole colpisce le vie principali del camping, non le piazzole che sono all’ombra degli alberi. Stendo a terra il sottotenda che essendo nero ho ragione di credere che si scaldi subito. Ci adagio sopra come fosse una grossa grigliata le mie cose, le mutande le giro dalla parte del culo, per rispetto dei passanti. Stendo un filo tra un albero e la manopola del gas del PX, che me lo tiene teso, e lo uso come stendino. È una bizzarra bancarella ma mi sembra la soluzione migliore. Per fortuna non devo vendere nulla perché nel frattempo anche le mie banconote si sono asciugate. Realizzo di avere un nuovo nemico, che si chiama pioggia. Dopo un paio d’ore sembra tutto più o meno asciutto visto che il sole picchia forte. E anche se qualche estremità rimane umida me lo faccio andare bene.

Studio il percorso, decido di saltare una tappa perché troppo vicina e mareggiata. Ormai ho capito che mi trovo più a mio agio nei boschi che sulla spiaggia. Pago un conto salato e vorrei salutare i dirimpettai, ma non ci sono. Lascio loro un biglietto di ringraziamento e saluti con una calligrafia incerta, visto che scrivo sulla corteccia di un albero. Spero riescano a decifrarlo. Lego le scarpe allo zaino, penzoloni, sperando si asciughino, e indosso infradito e costume.

Punto l’entroterra e vado. Ci sono nuvole all’orizzonte, il sole lascia spazio al grigio e io gli sto correndo incontro. Sono in montagna e fa anche fresco. Mi piace. La quota raggiunta è elevata, passo per paesini dagli strani nomi come L’ospedale e Zonza. Mi fermo 5 minuti per pensare. Una birra fa finta di essere il mio pranzo.

Proseguo in salita e più avanzo più sento la carburazione smagrirsi al minimo. Opero con il polso destro di conseguenza, per fortuna ho un buon orecchio. Un amico che è un lupo di mare e ha seguito le mie sventure mi da una dritta per seguire l’andamento delle perturbazioni con precisione ed esattezza. Vedo che forse oggi l’acqua sarà solo quella dentro alla borraccia. E invece inizio a sentirla sul dorso delle mani. Un garage di un hotel mi offre un tetto, così posso prepararmi. Pantaloni anti pioggia e keeway sopra, sacchi dell’immondizia neri a coprire le valigie. Kit per la salvezza. Proseguo per meravigliose strade montane tra boschi e rocce che sono talmente verticali che ti pare impossibile stiano in piedi. Sono nel canyon corso e ne rimango estasiato. Proseguo tranquillo ora che so di essere al riparo, è solo una questione di arrivare. Tranquillamente ma neanche tanto, sono al camping U Ponte Grossu.

Un tizio mi accompagna alla mia piazzola su di un golf caddy, lo prendo come un giro turistico rilassante. Ho 3 questioni da risolvere: 1, costruire un riparo, 2 andare in bagno, 3 tuffarmi nel fiume qui a fianco. Ormai so come si fa e in men che non si dica ho una fortezza inespugnabile su cui contare.

Il fiume è costeggiato da grossi massi che calpesto volentieri scalzo ed essendo scivolosi mi obbligano a muovermi in quadrupedia. Mi fa sgranchire la muscolatura. Un tuffo nelle acque cristalline ristabilisce il mio equilibrio interiore. Che posto fantastico. Comincia a piovere leggermente ed è tempo di andare a cena. Non ci sono supermercati nei dintorni e di riprendere la Vespa ora che è bella e pronta per la notte non se ne parla. Al ristorante del camping un bella bistecca calda al sangue mi manda in paradiso. A fianco il fiume scorre qualsiasi cosa accada. E qualsiasi cosa accada ho un gran bel riparo su cui contare, in anticipo sta volta.

Fa piacevolmente fresco e mi ci vuole la felpa, mi fa stare bene. Dentro la tenda è tutto minuziosamente perfettamente al suo posto, mi rilasso stappandomi una birra e fumando una sigaretta.

Sono sereno e sta notte dormirò un bel po’.

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